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Omelia di
S.E. Ernesto Mons. Vecchi Vescovo Ausiliare e Vicario Generale Arcidiocesi di Bologna
nella S. Messa esequiale di don Tullio Contiero
6 luglio 2006 - S.Sigismondo, Bologna


Lunedì 3 luglio, mentre la Chiesa cantava la lode vespertina della Festa di S. Tommaso Apostolo, il Signore ha spalancato le porte dell’eternità al Sacerdote don Tullio Contiero, membro del nostro presbiterio diocesano.

Il Cardinale Carlo Caffarra, in missione pastorale a Valencia in Spagna, mi ha affidato il compito di esprimere la sua spirituale partecipazione a questa convocazione eucaristica esequiale. Mentre si associa alla nostra preghiera di suffragio, l’Arcivescovo partecipa al dolore dei parenti, degli amici e delle numerose persone che hanno sperimentato la carità pastorale di questo animatore instancabile della città universitaria. Ringrazia, inoltre, quanti sono stati vicini a don Tullio nel suo lungo Calvario, aiutandolo a testimoniare il Vangelo della sofferenza.
Noi siamo qui, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per fare appello alle risorse della fede in Gesù Cristo, che nell’Eucaristia ci offre il contesto vero ed esauriente per cogliere il senso della vita e della morte di don Tullio. I testi biblici ora proclamati convergono tutti sul punto focale della fede cristiana: l’incontro gioioso e gratificante attorno alla tavola che il Signore stesso ha imbandito per tutti i popoli, sul monte dell’Alleanza antica e nuova (Cf. Es 24, 9-11; Is 25, 6).
Oggi questa Alleanza viene sacramentalmente ripresentata e rinnovata nell’Eucaristia, offerta «per la moltitudine» (Mt 26, 28), in vista della gioia senza fine, accanto a Cristo Risorto alla destra del Padre in Paradiso.
L’orizzonte universale dell’impegno di don Contiero nasce proprio da questa consapevolezza: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 51).
L’Eucaristia ci pone dunque in comunione con la realtà totale del Cristo Redentore e, come Tommaso, siamo invitati anche noi a «stendere la mano sul petto del Risorto» (Cf. Gv 20, 27) e a«volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto» (Cf. Gv 19, 37) per scoprire la via di accesso alla vita eterna, di cui l’Eucaristia è pegno sicuro: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 54).
L’essere prete di Tullio Contiero trova le sue radici proprio sull’orizzonte del riverbero pastorale e sociale della Messa, concretamente vissuta dal Cardinale Giacomo Lercaro come pane spezzato della Parola, dell’Eucaristia e della Carità.
Don Tullio è nato a Vallonga in provincia di Padova, da Antonio e Leonilde Fontana il primo marzo 1929. Ben presto rispose alla chiamata del Signore entrando come laico in una Congregazione religiosa sorta in Francia agli inizi del 19° secolo, la Società di Maria (Marianisti), dedita all’educazione della gioventù e alle missioni.
Durante un campo estivo a Pera di Fassa conobbe il Cardinale Giacomo Lercaro, che lo chiamò a Bologna per coinvolgerlo in un progetto di rilancio del compito educativo nella scuola e nel vasto mondo dell’Università.
Dopo un periodo di preparazione, culminato con il conseguimento della Licenza in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense, proprio in questa chiesa, il 21 aprile 1963, ricevette l’Ordinazione sacerdotale per il ministero dello stesso Cardinale Lercaro.
Nominato Assistente del Centro Studentesco, fu insegnante di Religione al liceo Galvani e, in seguito, fu aggregato al gruppo di Sacerdoti impegnati nella pastorale universitaria presso la chiesa di S. Sigismondo, dove è rimasto per oltre quarant’anni, fino alla morte.
La sua forte personalità, il suo coraggio e la sua passione apostolica lo hanno portato a dare un’impronta originale e personale all’impegno culturale in Università.
Qualcuno, in questi giorni, ha definito don Tullio un prete “schietto e scomodo”, un prete “di frontiera”, il prete dell’Africa, il prete che scuote le coscienze. Al di là di ogni enfasi, sempre riduttiva e fuorviante, don Contiero era e rimane un prete, configurato dal Sacramento dell’Ordine a Cristo Capo, Pastore e Sposo.
In questo consiste la sua dignità e da questo è scaturita la sua incisività pastorale, che si affianca all’esuberante varietà di carismi e ministeri presenti nella Chiesa e tutti convergenti verso la Presidenza eucaristica e pastorale del Vescovo.
Nonostante qualche difficoltà di intesa con le linee ufficiali della pastorale diocesana, don Tullio non ha mai rotto la comunione ecclesiale, che nasce e si rigenera nell’Eucaristia, il segno massimo della comunione con Dio e con i fratelli, in forza dello Spirito di Cristo che, nella Messa, fa nuove tutte le cose e ricompone in unità ciò che i nostri peccati frantumano. Di questa “voglia” di comunione, io stesso sono testimone diretto.
Oggi noi non siamo chiamati a giudicare, ma a scrutare i segni della presenza dello Spirito, per guardare con speranza al futuro della nostra Chiesa, del suo modo di presenza in Università, del suo essere principio propulsore di una misura alta dell’impegno culturale, sociale e civile, senza mai perdere di vista le sorgenti genuine della Verità e della Carità (Cf. Ef 4).
Don Tullio ha fatto la sua parte e ci ha lasciato la sua eredità, purificata e impreziosita sull’altare della Croce: il suo essere apostolo di frontiera dell’inculturazione della fede; la sua disponibilità a porsi come punto di riferimento esigente e scomodo di tante coscienze giovanili; l’attenzione costante e coinvolgente ai poveri vicini e lontani; l’opera di animazione spirituale e vocazionale; il suo essere coscienza critica di un cristianesimo spento e compromissorio, ma soprattutto il suo divenire principio e forza propulsiva di una storia nuova e diversa ha fatto di lui un riverbero della “voce” di S. Giovanni Battista (Cf. Gv 1, 23).
In questa chiesa, in ogni facoltà universitaria e in ogni aula scolastica, in ogni laboratorio culturale, sociale e politico non si spenga mai la voce coraggiosa di chi grida: «Preparate le vie del Signore… Colui che toglie il peccato del mondo» (Cf. Gv 1, 23.29).
Solo così si può «strappare il velo che copre la faccia di tutti i popoli» (Cf. Is 25, 7), cioè sciogliere le ambiguità presenti a vari livelli della vita personale, familiare e sociale, per rivalutare la nostra vocazione battesimale, che ci rende protagonisti nell’edificazione del Regno di Dio, nel XXI secolo appena iniziato.